L’europeo si sveglia ogni mattina accendendo la sua radio giapponese da cui riceve gli eventi del mondo; eruzioni vulcaniche, terremoti, colpi di stato, conferenze internazionali gli arrivano mentre prende un tè di Ceylon, dell’India o della Cina, a meno che non si tratti di un moca dell’Etiopia o un’arabica dell’America latina; si immerge in un bagno schiuma di oli taitiani e usa un dopobarba dai profumi esotici, indossa maglione, slip e camicia fatti con cotone dell’Egitto; porta giacca e pantaloni di lana d’Australia, trattata a Manchester e poi a Roubaix-Tourcoing, oppure un giubbotto venuto dalla Cina su jeans di stile americano.Il suo orologio è svizzero o giapponese. I suoi occhiali sono di tartaruga delle Galapagos. Il suo portafoglio è di pecari dei Caraibi o di rettile africano. Può trovare sulla sua tavola in inverno le fragole e le ciliegie dell’Argentina o del Cile, i fagiolini freschi del Senegal, gli avocado o gli ananas dell’Africa, i meloni di Guadalupe. Ha, a volontà, il rhum della Martinica, la vodka russa, la tequila messicana, il bourbon americano, il malto irlandese. Può a casa sua ascoltate una sinfonia tedesca diretta da un maestro coreano, a meno che non assista in videocassetta alla Bohème, con la nera Barbara Hendricks nella parte della Mimì e lo spagnolo Placido Domingo in quella di Rodolfo.
[E. Morin, A. B. Kern, Terra-Patria, R. Cortina, Milano, 1994, p. 23]
Ha ragione, infatti tutti i giorni entriamo in contatto con cose che sono, anche se solo in minima parte, state all’estero. Magari non ci pensiamo, però se non ci fosse tutto il mondo intorno a noi (tutti coloro che non sono italiani),la nostra economia non esisterebbe, non avremmo quasi nulla di tutto ciò che ci circonda.
Infatti anche le grandi firme come Benetton producono tutti i capi all’estero (se vede se lo leggi sull’etichetta).