23 maggio 1992: 20 anni dalla strage di Capaci

Ricordo bene quel pomeriggio poco dopo le 5, incollata alla televisione dal momento in cui giunsero le notizie dell’attentato. Ricordo la strada squarciata e la rabbia. Ricordo la paura e la sensazione di impotenza. Pensai, come pensammo in tanti, che era tutto finito, che in questo paese la mafia, la criminalità erano più forti degli uomini onesti.
Ricordo le lacrime insieme a questa donna, moglie di un agente della scorta.

 

Avevo tanto amato questo magistrato riservato e coraggioso, che parlava con un accento siciliano e che ci aveva insegnato, con rigore e con grandissimo equilibrio, cosa fosse la mafia.  Costretto a vivere blindato diceva: “La mafia non è affatto invincibile ma è un fenomeno umano e come tale ha un inizio e una fine. Si può vincere solo impegnando nella battaglia le forze migliori delle Istituzioni”. Difendeva l’idea dello Stato e ce lo aveva fatto amare. Ci aveva avvicinato alle Istituzioni, con la convinzione che lo Stato sarebbe stato capace di reagire, in modo fermo e senza cedimenti, contro il fenomeno mafioso. Credeva nello Stato che rappresentava. Una Stato che tanto ha bisogno di uomini capaci di non avere paura.

Cosa resta 20 anni dopo? Resta per tutti un grande esempio ed un grande insegnamento. Resta l’eroe delle persone oneste, convinte che ogni giorno valga la pena fare sempre il proprio dovere.

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