Ho pensato molto a questo post dopo la strage di Lampedusa. Dal primo istante ho pensato di scrivere, ma qualcosa mi tratteneva. Le parole mi sembravano tremendamente vuote. Poi ho capito. Ho capito che il disagio che provavo nasceva da una sensazione di ipocrisia. Tutti i giorni i migranti rischiano la vita. Tutti i giorni nel Mediterraneo avvengono episodi simili, anche se di dimensioni più ridotte. Non succedono per fatalità. Sono cronache di morti annunciati. Eppure succedono nell’indifferenza. Molti studenti venerdì non sapevano neppure cosa fosse successo. Molti altri avevano visto qualche immagine ma “non avevano capito”. Ai più è sembrata una notizia come tante, il racconto di un episodio lontano che li ha turbati forse solo per il numero di morti eccezionale, dopo di che sono tornati tutti alle loro comode vite, senza nessun turbamento o quasi. E tutte quelle persone con le loro storie, i loro drammi, le loro famiglie, sono tornate ad essere nessuno. E allora mi è sembrato ipocrita il lutto nazionale, il minuto di silenzio, il falso buonismo.
Nonostante questo però ho pensato che non potevo tacere. Lo voglio fare nella speranza di suscitare un dibattito qui o in classe. Nella speranza che prima o poi ci sentiremo tutti cittadini di questo piccolo pianetino in mezzo all’universo, dove confini e barriere non riusciranno a trattenere chi cerca una vita migliore.
Nella speranza che prima o poi i morti non saranno solo un numero su una bara.
Venerdì ho provato sensazioni simili alle tue. Nella mia scuola era stato predisposto un grande “muro di carta” sul quale gli studenti potevano lasciare i loro pensieri sulla Giornata della Pace e sulla terribile tragedia. Con la mia prima siamo stati lì davanti qualche minuto a parlare, a riflettere, a scrivere.
Bellissima idea quella del “muro di carta”. Da copiare 😉